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QUEL CHE RESTA DEL GIORNO
(REMAINS OF THE DAY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 marzo 1994
 
di James Ivory, con Anthony Hopkins, Emma Thompson, James Fox, Christopher Reeve, Hugh Grant; Michael Lonsdale (Gran Bretagna, 1993)
 
Il maggiordomo ligio, la governante pratica ed il padrone aristocratico.

Come dire, la piccola e la Grande Storia. Perché, se dietro le quinte del castello si svolgono gli esemplari riti della nobile tradizione dei "butler" inglesi (la gerarchia inappuntabili dei valletti, il mito del servire che spinge il maggiordomo Stevens a rinunciare a chiudere gli occhi al padre che sta morendo; poiché "da basso" c'è da sovrintendere alla cena del padrone) sul palcoscenico si va praticamente a nozze: e sono quelle officiate dal giusto e, ci mancherebbe, misuratissimo Lord Darlington tra la destra nazionale ed i futuri (siamo fra le due Guerre) nazisti tedeschi.

Che il più inglese tra i registi americani sia un maestro della minuzia, lo sapevamo. Quel suo modo d'incollarsi all'intimo dei personaggi (ma come si fa a proiettare la sola versione, doppiata e quindi castrata in italiano, in un cinema dove tutto è sospeso all'intonazione di una frase, al modo di lasciarsi sfuggire un monosillabo di traverso?!). Di osservare, con l'attenzione implacabile di una fotografia tagliata al rasoio, il più piccolo - apparentemente indeterminante al procedere del racconto - dei dettagli inquadrati. Di avvicinarsi ai personaggi, ma ancor più alla materia (alla natura, come alle vesti, agli oggetti, agli odori di una scenografia mai decorativa) con una sensualità da gelido capogiro. Tutti mezzi insuperabili, che Ivory ha spinto vieppiù' alla perfezione, per perforare una società (una morale) dove il non - detto conta infinitamente più del detto.

Ma ciò che bastava a rendere grande CASA HOWARD arrischia ahimè' di essere insufficiente in REMAINS OF THE DAY: che ci invita giustamente a riflettere sui rischi dell'obbidienza ad ogni costo, del senso del dovere spinto all'uso indiscriminato del paraocchi. Ma che - così facendo - impone sfacciatamente la metafora della grande Storia: e James Ivory non è il Visconti de LA CADUTA DEGLI DEI.

Non soltanto: il disagio del regista con la Storia (personaggi ed avvenimenti eccessivamente caricaturali, con l'ambasciatore Michel Lonsdale che ha l'erre moscia dei francesi all'estero, e continuamente male ai piedi per le scarpe strette; quella tedesca che canta i lieder con le occhiate da kapò, e l'americano lungimirante che ricorda terribilmente Batman anche perché interpretato Christopher Reeve... ) finisce inevitabilmente per stingere su quella minuscola, per la quale l'autore di HEAT AND DUST andava giustamente celebre.

Anthony Hopkins, chiuso nella sua impossibilità di comunicare per non dire di amare, Emma Thompson, volitiva, lucida e fragile al tempo stesso, James Fox (che James Ivory si sia ricordato de IL SERVO? Ma dov'è finita la sopraffina ambiguità del capolavoro di Joseph Losey?) sono degli attori (si vorrebbe dire: ovviamente) di formidabile intelligenza e sensibilità. Ma finiscono anche loro per farsi fraintendere: il maggiordomo per un bestione un poco tardo, la governante per un inguarabile perdente, ed il castellano per un ingenuo un poco fatuo. Cosa che non era certo nel romanzo di Kazuo Ishiguru: tutto redatto in un monologo interiorizzato del maggiordomo, che la pur sapiente Ruth Prawer Jhabvala ha evidentemente faticato a sceneggiare.

Poi, si sa come vanno queste cose: maestro sommo fra gli americani nel dipingere la società vittoriana ed edoardiana (più qualche licenza espressivamente equivalente dalle parti di Henry James), pittore delle passioni contrastate che permettono di denunciare gli scontri sociali e dei diversi concetti di vita, Ivory ha sempre avuto un nemico dietro l'angolo: quello di un seppur raffinato accademismo.

Poiché una disgrazia non giunge mai sola, eccole accumularsi sul finire della pellicola: quando - in un finale piuttosto convenzionale, che arrischia di offuscare l'impeccabile ritegno della prima parte - il maggiordomo raggiunge la governante sul molo solito della solita cittadina balneare. Si accendono i neon fra i domenicali della festa triste: ma non è il brillare giusto per quel cineasta (per non parlare del suo maggiordomo... ) che ci aveva insegnato fino ad allora come i sentimenti si esprimano stando alla larga dal sentimentalismo.


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